Il nuovo logo di Bologna: uno, nessuno e centomila

24 Gennaio 2014

Il nuovo logo del Comune di Bologna rappresenta un punto di svolta nel progetto dell’identità delle pubbliche amministrazioni italiane. Tale logo pone all’ordine del giorno una riflessione su cosa voglia dire progettare oggi un’identità complessa come quella per una comunità.
Se finora il lavoro per la costruzione di logo si basava sulla definizione di una necessaria sintesi (ognuno rinunciava a qualche propria caratteristica per identificarsi in un simbolo comune), nell’epoca della mass customization, della possibilità tecnica della personalizzazione estrema (la Coca Cola che scrive il tuo nome sulla lattina), ogni identità collettiva può essere rappresentata con niente di più che la somma di tutte le singolarità. Come avviene nei social network, il simbolo comune di appartenenza è dunque il processo condiviso. Un’opzione, questa, che riscuote oggi particolare fortuna, ma che contiene in sé, quando non opportunamente controllata, il rischio della perdita di ogni carattere identitario: come si distingueranno, per fare un esempio, l’insieme delle singolarità di Bologna da quello delle singolarità di Parma?
Il concorso che ha dato origine al progetto vincitore, realizzato dai triestini Matteo Bartoli e Michele Pastore è stato messo in piedi con un processo approfondito di analisi iniziale. L’amministrazione del comune ha dato poi prova di un non comune coraggio nell’affidare la giuria esclusivamente a esperti di comunicazione visiva. Si è così evitato il rischio di ricercare nei simboli e nei luoghi comuni la rappresentazione di un’identità collettiva con tutta la deriva demagogica (Bologna, insomma, non necessariamente deve essere rappresentata attraverso le due torri), ma forse ha così ecceduto nel desiderio di sperimentazione sottovalutando della perdita di carattere identitario.
Tale impostazione ha portato così a riconoscere i valori innovativi di un progetto che si rifà a un modello di identità visiva avanzata. Se il concetto di “identità dinamica”, dove l’identità risiede nella declinazione più che nella ripetizione, è stato adottato ormai da numerose istituzioni culturali e cittadine straniere, risulta tuttavia ancora ostica ai più l’idea di dover rinunciare alla sicurezza di un buon logo all’antica, classico e monolitico, in cambio di un’estesa collezione di immagini alternative.
Nel progetto di Bologna ci si è spinti ancora oltre sulla strada della dinamicità del logo, aggiungendo quel tanto di grafica generativa da rendere personalizzabile la molteplicità delle forme che questo viene ad assumere. L’idea di un logo che si concretizza in un software che genera un marchio a seconda degli input del fruitore. Il risultato è un caleidoscopio di figure geometriche del tutto astratte, che di fatto perdono completamente contatto con l’iconografia del territorio.
Costruire un sistema aperto come può esserlo un software di certo incentiva la partecipazione del pubblico ma cambia anche sensibilmente la modalità con cui il logo diviene simbolo di appartenenza.
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